La scrittura cuneiforme

ORIGINI E SVILUPPO

Quasi non esiste un’altra scoperta nella storia dell’umanità che abbia avuto una così grande influenza sullo sviluppo intellettuale come la scoperta della scrittura. Tra gli innumerevoli vantaggi che essa diede all’umanità vi è anche quello di aver permesso ai popoli che via via la usarono di lasciare tracce scritte delle loro azioni e del loro pensiero. Per questo motivo gli storici del XX secolo dissero che la sua comparsa segnava la fine della Preistoria e l’inizio della Storia.

Il cuneiforme, considerato dagli studiosi la forma di scrittura più antica pervenuta, fu il principale sistema grafico impiegato nell’antichità nell’area del Vicino Oriente, denominato anche “Mezza Luna fertile” o il “Paese di Summer”, che comprende l’attuale Medio Oriente, ovvero l’area geografica compresa tra la Turchia orientale e l’Iran per giungere sino all’India.

L’emergere della scrittura nel Nord e nel Sud della Mesopotamia si inquadra in un complesso contesto di rapida urbanizzazione, (“Rivoluzione urbana”), di crescita demografica, di aumento della produttività, di una maggiore organizzazione e specializzazione del lavoro. La scrittura è solo uno dei principali elementi della cosiddetta “Rivoluzione urbana”, da cui ebbero origine le prime città stato, tra cui ricordiamo i siti di Uruk e Ur. Lo sviluppo dell’agricoltura, dell’allevamento e della produzione artigianale di ogni genere, di fatto, portò la nascita di un’economia centralizzata. Nei templi e nei palazzi gli amministratori avevano il compito di controllare il via vai di prodotti provenienti dalle campagne e verificare se ciascuno avesse versato il tributo relativo alle sue possibilità. Poiché era impossibile per l’intelletto umano ricordare ogni dettaglio, si sentì la necessità di trovare un nuovo modo di annottare ogni entrata e uscita: nacque in questo contesto la scoperta più importante della storia dell’umanità, la scrittura.

Secondo una definizione classica, la scrittura cuneiforme sarebbe stata inventata nella seconda metà del IV millennio a. C., nella Bassa Mesopotamia, presumibilmente presso Uruk, una delle città-stato più antiche finora scoperte, per esprimere la lingua sumerica e da qui si sarebbe diffuso, nei tre millenni successivi in tutta l’Asia Minore, venendo talora adottato dalle popolazioni locali per esprimere in forma scritta la propria lingua (come, ad esempio, l’Accadico, l’antico Elamico, l’Ittita), in altri casi trasformato, attraverso un processo di semplificazione, per dare vita a nuove forme di scrittura (ad esempio l’Elamico o il Persiano).

Oggi sappiamo che la fase propriamente cuneiforme rappresenta non tanto un’invenzione a opera di un genio sumerico, quanto lo sviluppo di un processo evolutivo della scrittura, caratterizzato da diversi stadi, che affonda le proprie origini nella pittografia. I segni grafici più antichi a noi noti, infatti, erano costituiti semplicemente da disegni, perciò privi di indicazioni fonetiche che suggeriscano a quale lingua si riferiscano già dall’XI millennio, provenienti dalla Turchia orientale (“Cretule”) .

Il supporto scrittorio principalmente usato per incidere i testi in cuneiforme è costituito da tavolette d’argilla fabbricate direttamente dagli scribi. Tale scelta è dovuta dal fatto che argilla di buona qualità era facilmente reperibile nelle vallate fluviali del Vicino Oriente, precisamente nell’area in cui scorrevano il Tigri e l’Eufrate. I segni erano incisi con uno stilo quando l’argilla era ancora umida e per questo molto malleabile. Nella parte meridionale della Mesopotamia, invece, l’argilla era impregnata di sale marino, visto la sua vicinanza al mare, e questo comportava una disgregazione precoce delle stesse tavolette.

Le tavolette cuneiformi variavano enormemente per forma e grandezza: potevano essere rotonde, quadrate, rettangolari, con bordi più o meno arrotondati, relativamente spesse o sottili. A causa dell’effetto della gravità sull’argilla umida, il recto di una tavoletta (la prima superficie scritta) era piatto e il verso (il retro della tavoletta) era convesso. Questa caratteristica ha consentito agli studiosi moderni di determinare il recto e il verso di qualsiasi frammento, anche di piccole dimensioni.

Normalmente le tavolette erano cotte al sole; potevano essere cotte in un forno solo in casi eccezionali, come ad esempio è avvenuto per i magnifici esemplari della biblioteca del Re Assurbanipal (668–627 a. C.) a Ninive, dove erano raccolti anche testi sumerici e copie di antichi testi accadici. Spesso accadeva che gli scribi avevano la necessità di modificare l’iscrizione incisa: in questo caso l’argilla veniva inumidita e poi nuovamente fatta essiccare al sole. Fortunatamente molte tavolette sono state cotte dagli incendi appiccati dai conquistatori alle città, conservandosi così nei secoli come è avvenuto, ad esempio, alle tavolette degli archivi reali di Ebla, scoperti in Siria da archeologi italiani diretti dal famoso archeologo Paolo Matthiae.

Originariamente le tavolette erano suddivise con linee orizzontali e ripartite in caselle, ed erano scritte da destra a sinistra.

Per tutto il periodo Paleo-babilonese e probabilmente fino al periodo Cassita (intorno alla metà del II millennio a. C.), la scrittura mantenne un orientamento verticale; le linee di testo erano scritte dall’alto verso il basso, cominciando dall’angolo in alto a destra e proseguendo da destra a sinistra. Alla fine di questo periodo avvenne un importante cambiamento: gli scribi cassiti e quelli di altre lingue, in particolare gli hurriti e gli hittiti, ruotarono di 90° in senso antiorario le tavolette, stabilendo l’orientamento seguito in tutte le fasi successive della scrittura cuneiforme, e adottato convenzionalmente nelle pubblicazioni assiriologiche delle tavolette di qualsiasi periodo. Questa rotazione si produsse probabilmente per un motivo pratico, in seguito ad un cambiamento nel modo di tenere la tavoletta da parte dello scriba, cioè modificando l’angolazione del supporto rispetto allo stilo. Quando questo sia avvenuto è ancora controverso; è molto probabile tuttavia che sia accaduto intorno alla metà del III millennio a. C.

Nei testi arcaici i segni erano scritti nelle caselle in ordine sparso all’interno di quadrati o rettangoli, ma dopo la metà del II millennio a. C. furono scritti nell’ordine nel quale erano letti. I rettangoli sono organizzati in righe, che vanno lette da destra a sinistra, e quando una riga era completa si forma una nuova al disotto di questa. Quando il recto della tavoletta era completo, lo scriba lo girava da sinistra a destra e completava l’iscrizione sul verso nella stessa modalità ma procedendo dal basso verso l’alto.

A partire dalla metà II millennio a. C., la maggior parte delle tavolette d’argilla presentano una forma allungata e stretta e i segni incisi da sinistra a destra, probabilmente per non cancellare col pugno i simboli già iscritti. In molti casi l’iscrizione era suddivisa in colonne, il cui numero variava da una a dodici, come alcuni testi numerici risalenti al periodo di Ur – III (anni 2112–2001 a. C.).

La lingua dei Sumeri era una lingua agglutinante, ossia che unisce alla radice della parola una serie di prefissi e suffissi, per fornire informazioni come genere, numero, caso, tempo verbale.

Le più antiche testimonianze scritte a noi pervenute, costituite prevalentemente da testi sumerici e talora da impronte di sigilli, risalgono al tardo IV millennio a. C. e sono state rinvenute non solo nel sito archeologico di Uruk nel sud della Mesopotamia (dal 1928 al 1976 sono stati riportati alla luce circa 5.000 esemplari, tra tavolette integre e frammentarie), ma anche in altri contesti urbani risalenti al medesimo periodo storico: Ninive, nell’odierno Iraq, Susa, Chogha Mish e Godin Tepe nell’odierno Iran occidentale, e a Tell-Brak e Habuba nell’odierna Siria settentrionale.

Tra i reperti archeologici pervenuteci possiamo ricordare due tavolette d’argilla rinvenute nel 1984 nel sito di Tell Brak, l’antica Nagar, nell’attuale regione dell’alto Khabur: esse recano incisa la rappresentazione di una capra e di una pecora, ciascuna associata al numerale 10.

Per quanto riguarda le tavolette rinvenute nel sito archeologico di Uruk, l’attuale Warka, su cui si basa qualsiasi discussione accademica che verte sull’origine della scrittura cuneiforme nel Vicino Oriente antico, gli esemplari più antichi risalgono al periodo noto con il nome di Uruk – IV e Uruk -III (tardo IV millennio a. C.).

Leggermente successive sono quelle risalenti alla cultura di Jemet Nasr, sviluppatasi nella Mesopotamia meridionale nel periodo compreso tra il 3.100 e il 2.900 a. C. In questa fase, la scrittura cuneiforme vide numerosi cambiamenti importanti. Originariamente consisteva in pittogrammi, ma al tempo della cultura di Jemet Nasr si stavano già adottando disegni più semplici e astratti. Durante questo periodo a scrittura acquisì la sua caratteristica forma appuntita.

In vari siti iranici (Susa, Godin Tepe, Sialk, ecc.) sono state ritrovate tavolette d’argilla di forma molto simile a quelle incise nel Sud della Mesopotamia e contenenti anch’esse registrazioni economiche. Esse sono da datarsi alla fine del IV millennio a. C. e agli inizi del III millennio a. C. e sono quindi di poco più tarde di quelle mesopotamiche di Uruk, fanno parte della cultura materiale proto-elamitica.

Sono state pubblicate finora circa 1.500 tavolette proto-elamiche, provenienti per la maggior parte dagli scavi di Susa, sul fiume Kerkha, a Est di Babilonia, ma comprendenti anche alcuni esemplari rinvenuti in siti posti molto più a Sud-Est, fino a Shar-i Sokhta, sul confine afgano. Non è facile spiegare questo fenomeno: si può supporre che le popolazioni dell’Elam avessero una rete commerciale molto diffusa. Ma si può anche pensare a vaste migrazioni di popoli o di tribù appartenenti a quella civiltà. Le tavolette contengono quasi esclusivamente documenti di carattere amministrativo, mentre i testi letterari o lessicali sono praticamente assenti.

Si è tentato, con alterna fortuna, di stabilire qualche collegamento tra il proto-elamico e il proto-cuneiforme, la prima fase del sistema di scrittura mesopotamico, che precede di circa un secolo i primi esempi di proto-elamico. I primi seri tentativi di fornire una decifrazione formale dei testi proto-elamici sono stati effettuati nel corso degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta del Novecento; i documenti proto-elamici sono redatti con un sistema di scrittura lineare, orientato dall’alto verso il basso e da destra a sinistra. Il fatto che tutte le voci contenute in questi documenti siano apparentemente accompagnate da una notazione numerica, lascia supporre che ci troviamo di fronte a un sistema di registrazione, più che a una suddivisione della lingua parlata in frasi distinte o in analoghe unità semantiche. Il progresso dell’analisi dei sistemi numerici proto-elamici, derivati da quelli precedentemente sviluppati in Mesopotamia, hanno permesso recentemente l’identificazione semantica di un certo numero di segni e di combinazioni di segni, tra cui quelli indicanti alcune specie animali, i cereali e gli esseri umani.

I primi segni scritti furono dei semplici pittogrammi, cioè disegni schematici tracciati su tavolette d’argilla fresca, impiegati per registrare le attività quotidiane delle autorità religiose che erano in relazione soprattutto con il numero degli animali sacrificali e dei prodotti alimentari portati al tempio: per esempio, se lo scriba voleva rappresentare un “bue” disegnava una testa di bovino, se l’”orzo” una spiga d’orzo e se il “giorno” il sole che sorge all’orizzonte.

Attraverso i secoli la rappresentazione pittografica dei segni assunse sempre più un aspetto stilizzato, e le stesse linee, originariamente disegnate e continue, diventano segmentate in una serie di tratti, o cunei, divenendo sempre più indipendenti dalle forme originarie, e quindi sempre meno riconoscibili. All’origine della forma tipica di questa scrittura c’è una motivazione di carattere tecnico: si tratta infatti delle impressioni lasciate sull’argilla da stili di canna o di legno a sezione triangolare allungata, a forma cioè di cuneo (aspetto da cui deriva il termine “cuneiforme”, dal latino cuneus), che garantivano al nuovo sistema di scrittura rapidità ed efficienza.

Nel momento in cui la scrittura pittografica inizia ad assumere un aspetto “cuneiforme”, possiamo notare la presenza regolare di segni numerici, i quali suggeriscono la natura economico–amministrativa dei testi iscritti sulle tavolette. Il significato originario e profondo di queste iscrizioni è stato oggetto di studi, in particolare quelli condotti dall’Università di Berlino, anche se sono limitati all’interpretazione dei testi piuttosto che ad una loro effettiva lettura.

Ben l’85% delle tavolette rivenute nei livelli più antichi di Uruk sono di natura economica, ossia annotano le entrate e le uscite nei templi cittadini di cibo, bestiame e prodotti artigianali. Queste iscrizioni hanno consentito agli studiosi di decifrare nomi di luoghi noti nei periodi successivi: infatti, oltre ai siti sviluppatisi nelle immediate vicinanze di Uruk, compaiono i nomi di Kish ed Eshnunna nell’estremo nord, Aratta generalmente localizzata sulle montagne iraniche, e Dilmun nei pressi del Golfo Persico.

Il sistema di numerazione usato nella scrittura cuneiforme era di tipo sessagesimale, costituito da 60 cifre. Inizialmente, lo zero era rappresentato con uno spazio bianco, mentre le restanti 59 cifre venivano scritte con caratteri speciali, combinati tra loro seguendo un sistema di numerazione additivo.

Nel periodo più antico si usavano simboli separati per ciascun ordine di grandezza, successivamente la scrittura assunse una forma più angolare i cui segni erano scritti in modo verticale ed obliquo. I segni tecnicamente numerici erano usati prevalentemente nei testi di carattere matematico e astronomico, mentre nei testi amministrativi i numerali erano trascritti sillabicamente.

Questo sistema di numerazione ebbe una grande fortuna nei millenni successivi, tanto è vero che fu utilizzato anche da astronomi dell’Antica Grecia e arabi in età medievale. Anche il nostro modo di contare i minuti in sessanta secondi e le ore in sessanta minuti deriverebbe dal sistema di numerazione babilonese.

Il 15% delle tavolette, invece, sono liste lessicali, repertori approntati dagli scribi per imparare e memorizzare i segni, organizzati secondo vari criteri (es. forma, significato, ecc.); essi sono tra i più antichi documenti della scrittura cuneiforme: i primi esemplari, infatti, sono stati rinvenuti nel IV livello dell’area templare dell’Eanna, nella città di Uruk (fine del IV millennio), insieme a documenti di tipo amministrativo.

La tradizione delle liste nel corso del III millennio è piuttosto omogenea; infatti, dopo alcune oscillazioni nella fase più antica dell’uso della scrittura si afferma ben presto una forma standard che è tramandata senza modifiche. Non soltanto gli esemplari provenienti da siti diversi sono copie pressoché identiche, ma si registrano altresì scarsi mutamenti nel corso dei secoli.

Le liste in questione possono contenere sino ad alcune centinaia di parole e sono unidimensionali, ossia una parola è collocata in un punto specifico della sequenza, ma la lista non fornisce informazioni supplementari di alcun genere, né spiegazioni né traduzioni in altre lingue. L’esigenza di aggiungere una traduzione si presentò soltanto quando le liste sumeriche cominciarono a essere utilizzate da scribi che parlavano una lingua diversa dal sumerico, cosa che, a quanto sappiamo, accadde per la prima volta a Ebla, dove la scrittura cuneiforme era stata importata intorno alla metà del III millennio a. C.; qui gli scribi aggiunsero traduzioni nella lingua semitica locale, mentre in Mesopotamia tale prassi fu introdotta più tardi, quando il sumerico cessò di costituire la lingua della maggioranza della popolazione e fu soppiantato dall’accadico.

Imparare a leggere, scrivere e poi a fare di conto e a comporre testi richiedeva un lungo periodo di apprendistato intenso e faticoso e solo i nobili potevano permetterselo. Si formò così la ristretta e potentissima categoria degli scribi, che amministravano le ricchezze dello Stato, curavano i templi degli dèi e assistevano il Re nelle sue decisioni. Significativo è il fatto che medesimi segni sono rimasti invariati per molti secoli e tale continuità ha permesso agli studiosi di poter interpretare i testi più antichi, altrimenti incomprensibili.

Testimonianze archeologiche, come la presenza di file di pani d’argilla o di tavole scolastiche, hanno permesso di individuare alcune scuole di scribi, come per esempio nei siti di Ninive, Ur, Uruk e Mari. L’istruzione cominciava in tenera età e lo scriba maestro seguiva l’alunno fino alla fine della sua preparazione. Le lezioni si tenevano generalmente nel cortile dell’edificio. La prima fase dell’insegnamento verteva sulla preparazione delle stesse tavolette d’argilla su cui dapprima si iniziava a incidere dei segni semplici fino ad arrivare a comporre intere frasi.

Per ragioni di sicurezza dovuto al loro contenuto, alcune tavolette d’argilla venivano racchiuse all’interno di contenitori d’argilla. Le testimonianze più antiche di questa pratica risalgono al periodo di Ur – III e si può notare che era riservata prevalentemente ai testi di tipo amministrativo.

La tavoletta, una volta incisa e fatta essiccare al sole, veniva custodita all’interno di un involucro anch’esso di argilla, su cui era riportato in sintesi il contenuto dell’iscrizione e lo scriba, infine, imprimeva il proprio sigillo, che determinava la sua integrità. In caso di dispute, lo scriba era autorizzato a rompere la “busta” e consultare l’iscrizione originaria. I sigilli erano di forma cilindrica e realizzati in pietra, osso o conchiglia ed erano incisi con un’iconografia che riportava il nome del proprietario, la dedica alla divinità e la data.

Nei periodi storici noti convenzionalmente come periodi proto-dinastici I – III (2.900 – 2.350 a.C.) si riscontra per la prima volta un chiaro uso polivalente della scrittura cuneiforme, vale a dire che si può dimostrare, nei documenti appartenenti a quest’epoca, che i segni erano utilizzati non solo per rappresentare oggetti o unità di misura, ma anche diversi suoni della lingua parlata. Quest’uso fonetico dei segni ha consentito agli studiosi d’identificare i linguaggi utilizzati dagli scribi babilonesi e stabilire l’affiliazione linguistica di quelle che erano state fino ad allora semplici prove archeologiche dell’esistenza di diverse culture. Inoltre, dopo il collasso sociale e culturale verificatosi alla fine del periodo di Jemdet Nasr, agli inizi del III millennio a. C., la scrittura cuneiforme iniziò a diffondersi rapidamente, accompagnando l’espansione dell’influenza culturale dei Babilonesi, fino a comprendere non soltanto la regione agricola della Mesopotamia meridionale (Sumer), ma anche la larga fascia di territorio estesa dalla Siria fino alla regione della Diyala, a Est del Tigri.

Benché si rilevi ancora una prevalenza di documenti di carattere amministrativo, i testi cuneiformi di questo periodo mostrano per la prima volta segni inequivocabili di un uso della scrittura finalizzato alla rappresentazione della lingua parlata, nella forma di testi letterari anche molto estesi, comprendenti miti, leggende, dialoghi, e di testi di carattere magico.

Sino alla fine del III millennio a. C., comunque, rimase una scrittura incentrata sull’amministrazione contabile; solo con il periodo Paleo-babilonese (2001–1595 a. C.), iniziò ad essere utilizzata dagli scribi anche per redigere testi letterari. Il testo di base per lo studio di questa lingua è il Codice di Hammurabi. Questo stadio della lingua comporta molte varianti regionali: a Babilonia, Larsa, Eshnunna, Susa, Terqa e Mari per i casi meglio conosciuti.

Le prime notizie della scrittura cuneiforme giunsero in Europa intorno al XVII secolo quando il viaggiatore italiano Pietro della Valle spedì nel nostro paese alcuni dei primi esemplari di documenti contenenti questi strani caratteri. La maggior parte di queste iscrizioni giungeva da un’area nei pressi dell’odierna città iraniana di Shiraz, dove si trovava un gigantesco cumulo di rovine che un viaggiatore europeo del Settecento, Carsten Niebuhr, riconobbe essere l’antica Persepoli cioè la città dove gli storici greci affermavano si erano trovati i meravigliosi palazzi di Dario I e Serse distrutti poi da Alessandro Magno.

 

La decifrazione

Ci vollero trent’anni prima che un maestro di scuola tedesca, Georg Friedrich Grotefend, riuscisse a decifrare quattro lettere (D, A, R, Š) che insieme formavano il nome persiano del Re Dario (Dārayavahuš).

Passarono altri vent’anni prima che un ufficiale inglese, Henry Rawlinson, contemporaneamente ad altri appassionati studiosi, fornisse validi elementi per una maggiore conoscenza della scrittura cuneiforme e della lingua assira.

La storia della decifrazione della lingua cuneiforme ha inizio nel XVIII secolo: il primo fu il tedesco G. F. Grotefend il quale fu un grande conoscitore della lingua Avesta, del Sanscrito, dell’Aramaico e del Pahlavi, quindi si dedicò subito alla decifrazione dell’antico persiano.

Le prime parole che riuscì a decifrare furono “Re dei Re” senza però ad arrivare a decifrare il nome del sovrano. Soltanto nel 1835 il passo decisivo fu l’intervento dell’inglese Henry Rawlinson (Baronetto ufficiale di marina per conto Compagnia delle Indie orientali e scrittore per conto del “Journal of the Royal Asiat Society of London” che, per primo, copiò personalmente, scalando una parete di una piccola montagna a Behistum, in Iran occidentale, (si trattava della tomba del Re Dario I), una epigrafe trilingue in Antico Persiano, Elamico  e Babilonese.

Il compito di copiare il testo in Antico Persiano, per un totale di 414 righe, fu portato a termine un po’ alla volta, nel corso di dieci anniperché i testi erano scritti su un pendìo scosceso che richiese a Rowlison di mettere in gioco le proprie capacità di scalatore, con molti rischi.

L’ufficiale inglese con le sue capacità di conoscenza delle lingue come l’Avesta e confrontandole con le fonti greche riuscì a scoprire i nomi dei sovrani persiani Dario e Istarpe, inoltre un altro studioso irlandese Edward Hinchs contribuì notevolmente al processo di decifrazione della scrittura cuneiforme.

Una volta ricostruito il significato dell’Antico Persiano, Rowlinson, tra il 1844 e il 1847, cominciò a tradurre l’Elamico e il Babilonese ma ci volle un decennio prima di riuscire ad avere una decifrazione totale delle due antiche lingue. La prima frase tradotta fu: “Dario, il grande Re dei Re, Re dell’insieme di tutti i Paesi di ogni lingua, figlio di Istaspe, achemenide, colui che costruì questo palazzo”.

Con il nome “Istaspe” iniziarono i primi raffronti confrontando la grafìa del nome “Istaspe” con le versioni in lingua elamica e in lingua babilonese; un altro inglese di nome Norris, con gli appunti di Rowlison, completò la decifrazione intorno all’anno 1860 circa ma, ancora oggi, le ricerche sulla lingua cuneiforme sono in continua evoluzione.

 

Prof. Roberto Oriolesi

Archeologo orientalista e assistente della Cattedra di “Egittologia, Letteratura Copta e Antichità Nubiane”, presso il Dipartimento di Studi Orientali di “Sapienza” Università di Roma, specializzato in “Assiriologia” e “Antichità Nubiane” e laureando in “Epigrafia semitica”.