Ipotesi scientifiche relative all'esistenza di un'antica area sacra nei monti Cimini

IPOTESI SCIENTIFICHE COLLEGATE CON LA NECROPOLI ROMANA DI SANT’EUSEBIO VESCOVO DI SUTRI. L’AREA SACRA ETRUSCO-ROMANA DEI MONTI CIMINI

Nel corso di una mia indagine di carattere archeologico che sto conducendo da vari anni sono emerse alcune importanti novità e ipotesi relative all’area archeologica di Sant’ Eusebio di Sutri. Stiamo cercando di organizzare con l’Università della Tuscia di Viterbo e con l’Istituto Archeologico Germanico di Roma, previa autorizzazione della Soprintendenza, delle indagini di scavo nell’area archeologica in questione situata fra Ronciglione e Sutri.

A Sutri abbiamo già individuato due necropoli: per quanto riguarda la necropoli di S. Eusebio Vescovo sono emersi, grazie a degli scavi agricoli nel corso dei decenni, tre sarcofagi, due pagani del III secolo d. C. (uno di una certa Claudia Longina) e uno databile al VII secolo d. C. rinvenuto nel 2008; inoltre è stato trovato un cippo funerario di un certo Lucio Sulpicio Clemente, magistrato “Quattuorvir Iure Dicundo”, con funzioni giurisdizionali sia civili che penali, del municipio romano di Nepi; inoltre l’abside della chiesa longobarda di S. Eusebio è costituita da un mausoleo paleocristiano del funzionario imperiale Flavio Eusebio, Vice Governatore della Campania, che fece costruire il suo sepolcro per sé e i suoi familiari, da vivo ( = “incolumis” dice la lapide) all’interno della sua proprietà terriera (anche questo specificato nella lapide), questo mausoleo paleocristiano è datato alla 2° metà del IV secolo d. C.; la seconda necropoli sutrina è stata individuata in località “Poggio del Tempio” anche questa distante dall’antica città di Sutri (circa un chilometro e mezzo) e il vetusto topònimo ci rivela l’esistenza in loco di un antico tempio pagano.

Entrambe le necropoli probabilmente partono dall’età monarchica di epoca romana (VIII-VII secolo a. C.) e hanno anche una fase repubblicana, romano-imperiale, una fase paleocristiana e poi gotico-bizantina e longobarda.

La scoperta è notevole, fra l’altro le due necropoli sono insufficienti per contenere tutti gli abitanti di Sutri vissuti in questa città nel corso di più di mille anni, quindi devono esistere per forza altre necropoli.

Questo discorso vale anche per altre città della provincia di Viterbo di età preromana, romana, paleocristiana, bizantina e longobarda, come Nepi, Gallese, Orte, Orvieto, Blera, Tuscania, Bomarzo, il sito etrusco del Colle del Duomo in Viterbo (chiamato in epoca romana “Castrum Herculis” che denota un antico culto a questo semidio) e forse anche Vulci (quest’ultima città fu abbandonata completamente nel XII secolo a causa delle frequenti incursioni saracene).

Si va delineando l’esistenza di numerose necropoli, costituite soprattutto da sarcofagi e cippi funerari, che furono posizionate intorno a un tempio pagano, e la gente per devozione si fece seppellire presso questi templi anche se piuttosto lontani dalla città (la necropoli della chiesa di S. Eusebio Vescovo di Sutri è a circa tre chilometri e mezzo, in linea d’aria, da Sutri e, a circa 800 metri dalla chiesa, c’è un cippo dedicato alla dea Diana che dovrebbe provenire dall’area di Sant’Eusebio e che testimonierebbe l’esistenza di un sacello dedicato a questa dea; il cippo di Diana con il testo dell’epigrafe è pubblicato nella “Carta Archeologica d’Italia”, opera del Pasqui, Cozza e Gamurrini).

Si sta prospettando fortemente l’ipotesi che intorno al lago di Vico, in epoca romana chiamato “Lago Ciminio”, ci fosse un vasta area sacra che comprendeva anche il monte Cimino (il più alto monte di tutta la Tuscia con i suoi 1050 metri di altezza); questa area sacra non è di origine romana ma doveva esistere già in epoca etrusca e doveva essere collegata con il santuario del “Fanum Voltumnae” situato probabilmente vicino “Velzna” l’attuale Orvieto ma queste indagini, nel corso degli anni, potrebbero chiarire meglio il rapporto fra l’antica Velzna e l’area sacra dei monti Cimini e capire esattamente cosa fosse il “Fanum Voltumnae” e dove fosse esattamente ubicato.

Faccio presente che il monte che si trova sul lago di Vico di fronte agli stabilimenti balneari lungo la costa ronciglionese, si chiama ancora oggi “Monte Venere” e quindi si prospetta il fatto che fosse dedicato a questa divinità che in etrusco si chiamava “Turan”; inoltre a Orvieto esiste, ed è stata pubblicata già nel 1879 dall’archeologo Gamurrini, una piccola ara  =  altare) romana dedicata a “Giove Ciminio” (“Corpus Inscriptionum Latinarum”, XI, 2688), Giove che in etrusco si chiamava “Tinia”). Dobbiamo, inoltre, dire che potrebbe esserci un forte legame fra l’area sacra dei monti Cimini e il famoso “Fegato di Piacenza” usato dagli aruspici etruschi per l'”arte divinatoria” per la quale erano famosi nell’antichità.

Ci racconta Tito Livio, il principale degli storici di epoca romana, nel Libro IX ,capitolo XXXVI che quando l’esercito romano entrò nella “Selva Ciminia” nella primavera dell’anno 309 a. C., al comando del Console Quinto Fabio Rulliano, per conquistare la parte restante dell’Etruria (ci fu anche un assedio di Sutri, città alleata dei Romani, e che Tito Livio definisce “Città chiave dell’Etruria”, assedio a cui parteciparono tutte le città dell’Etruria eccettuata Arezzo) l’esercito ebbe una gran paura e così anche il Senato e il popolo romano quando seppero della notizia.

Tito Livio definisce la Selva Ciminia una “selva impraticabile (e non “impenetrabile”) e più paurosa di quanto lo fossero state le foreste della Germania” ai tempi di Tito Livio, foresta che, dice Tito Livio, non era frequentata volutamente neanche dai mercanti;  tutte queste cose rafforzano l’idea che esistesse l’area sacra e di conseguenza l’esercito romano era consapevole di aver violato l’antica area sacra e che quindi temesse di suscitare l’ira degli dei e, di conseguenza, di perdere la guerra contro gli Etruschi.

Di questa “violazione dell’area sacra” furono felici invece i Sanniti con il loro esercito (Libro IX, capitolo XXXVIII), perché Roma era impegnata anche su questo fronte, e questo perché l’esercito sannita “credeva già di vedere l’esercito romano circondato e assediato, mèmore delle vecchie “Forche Caudine” (“Gole di Caudio” a Est di Napoli, anno 321 a. C.) simbolo di rovina per i Romani in passato.

Intorno all’area sacra si svilupparono dei templi con intorno delle necropoli utilizzate per più di un millennio in quanto ci deve essere anche una fase paleocristiana, una fase gotico-bizantina e una fase longobarda.

Si può ipotizzare che queste necropoli siano state nascoste, interrandole, a partire dal IX secolo quando cominciarono, lungo le coste della provincia di Viterbo, le incursioni dei Saraceni che si spinsero sin nell’interno della Tuscia e colpirono anche Roma.

Altro elemento che rafforza l’ipotesi di un’area sacra già esistente in epoca etrusca sin dal IX-VIII secolo a. C. è il fatto che intorno all’antico lago Ciminio non sono mai sorte città etrusche, a differenza del lago di Bolsena, pur essendo un territorio molto favorevole alla formazione di centri urbani; evidentemente nel territorio relativo all’area cimina vi era una “Res divini iuris” ovvero un luogo di diritto divino dedicato agli dei del pantheon prima etrusco e poi romano e dove potevano entrare solo persone autorizzate come i sacerdoti e il loro seguito per espletare i riti religiosi; molto probabilmente all’interno dell’area sacra non vi erano templi ma solo luoghi di culto naturali all’aperto predisposti per le funzioni religiose; i templi, invece dovevano trovarsi fuori dall’area sacra ai margini della stessa e della Selva Ciminia.

Se saremo fortunati potremmo trovare numerose necropoli di sarcofagi, cippi funerari e non solo, con una fase paleocristiana, bizantina e longobarda e sarà una scoperta eccezionale e stupenda.

Cercheremo di coinvolgere nell’indagine archeologica anche il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana di Roma.

Prof. Carlo Maria D’Orazi

Presidente

del Centro di Studi Storici e Archeologici

con sede in Capranica (VT)